“Ricevere una borsa di studio, quando sono uscita dalla comunità, mi ha salvato la vita”.
Il destino di Almas Khan, all’improvviso senza un risparmio e un posto dove andare, è cambiato perché qualcuno ha creduto in lei. Oggi ha 26 anni, una laurea triennale in Psicologia e una magistrale in Psicologia Clinica in dirittura d’arrivo. Ma non solo: Almas è stata per tre anni vicepresidente ed è tuttora nel consiglio direttivo di Agevolando, un’associazione nata nel 2010 che lavora per e con i ragazzi usciti da percorsi di accoglienza.
Almas Khan è una di loro, una Care Leaver: ovvero una ragazza allontanata dalla famiglia e dagli affetti che, come tanti altri, ha dovuto ricominciare la vita da sola. Se ne contano ogni anno circa 3mila: sono figli e figlie di genitori che non sono riusciti a svolgere il loro ruolo e per questo hanno dovuto fare un passo indietro. Sono ragazzi e ragazze che crescono in comunità per minori, in case-famiglia o famiglie affidatarie, e vivono tutti con una data di scadenza appiccicata in testa: 18 anni. Infatti, una volta che hanno raggiunto la maggiore età, lo Stato smette di farsi carico delle loro rette e, nonostante gli sforzi di servizi e strutture, i ragazzi rischiano di trovarsi in mezzo a una strada. È lì che tutto il lavoro fatto per salvarli può essere distrutto in pochi mesi. Ed è in quel momento che i Care Leavers hanno più bisogno d’aiuto.
Per questo, nel 2010, è nata Agevolando: un’associazione di volontari, animata in parte dagli stessi ragazzi e ragazze usciti dalle comunità, con una rete che copre quasi tutta l’Italia. Dal 2017 è in sperimentazione un importante Fondo per neomaggiorenni da 5 milioni di euro l’anno, ma i fondi non bastano ancora. Nel 2021, due volontarie di Agevolando sono diventate Alfiere della Repubblica: un primo passo per essere meno invisibili, ma c’è ancora molto da fare.
Almas chi sono i Care Leavers?
Ragazzi e ragazze che non hanno avuto genitori in grado di prendersi cura di loro. A farlo ci ha pensato qualcun altro insieme allo Stato. All’inizio era una parolina strana anche per me, ma ora è un concetto in cui mi identifico perfettamente.
Perché si viene allontanati dalla propria famiglia?
Io sono nata in Pakistan e sono arrivata in Italia a 8 anni. A 15 sono scappata di casa con i miei fratelli perché mio padre ci maltrattava. Per me andarmene è stata una liberazione. Molti pensano che, nonostante tutto, la famiglia sia sempre la parte migliore per i ragazzi. Invece, a volte, essere allontanati è una salvezza, perché esistono famiglie tossiche e genitori che non sono in grado di fare i genitori: non si rendono conto che distruggono la vita dei figli.
Come si fa ad accettare che i genitori non siano adeguati?
Ho ascoltato molte storie: in tanti all’inizio provano risentimento per essere stati allontanati, poi con il tempo capiscono che è stata la scelta migliore. Quando si è piccoli non passa per la testa che i genitori possano farti del male: è meno brutto dire ‘i miei litigano’ piuttosto che ‘non vivo con i miei’. Ci vuole tempo per elaborare il fatto che i tuoi non sono buoni. E quel percorso in comunità viene fatto.
Cosa succede quando un Care Leaver compie 18 anni?
Molti di noi sono stati abbandonati a sé stessi non appena raggiunta la maggiore età. Ma a 18 anni è troppo presto per essere adulti. E in tanti hanno ancora bisogno di essere accompagnati per riuscire a camminare da soli.
È successo anche a te?
Io sono stata in comunità dai 15 ai 18 anni. Mi sono sempre trovata bene, ma mi preoccupava il futuro: io volevo a tutti i costi finire il liceo per poi fare l’università. Ma una volta fuori, sapevo che non avrei avuto niente.
Cosa si prova?
Ti senti sola, in balia del mondo. È come se non avessi la possibilità di scegliere e fossi costretto solo a sopravvivere. Io avevo paura che non sarei mai riuscita a studiare e avrei dovuto rinunciare a tutto. Infatti come prima cosa mi ero messa a cercare lavoro. A quel punto o dipendi dagli altri o finisci a fare cose che non ti piacciono e purtroppo puoi ritrovarti anche su una brutta strada.
Può capitare?
Io so che a me non sarebbe successo, ma è facile che succeda: hai solo 18 anni, non hai esperienza lavorativa e ti ritrovi senza niente in mano. Spesso si ricommettono gli stessi errori dei genitori. Ci sono ragazze che restano incinte molto giovani, con figli che poi a loro volta vanno in comunità. O ragazzi che iniziano a frequentare certi giri perché sono disoccupati e senza un posto dove andare. Altri che ritornano a casa da quelle famiglie tossiche da cui erano scappati. Sono persone che non riescono a scacciare i fantasmi del proprio passato.
E lo Stato?
Lo Stato rischia di buttare via i soldi che ha investito su di noi. Ne spende tanti per farci vivere meglio e poi a 18 anni spesso ci saluta. Perché non ne spende un po’ di più per far sì che queste situazioni non capitino?
Per lei cosa ha fatto la differenza?
Ho conosciuto Agevolando. E come prima cosa mi hanno coinvolto in un progetto di housing che fornisce alloggio a chi esce dalle comunità. La mia condizione era che tra chi ospita e chi è ospitato ci fosse parità, non pietà.
Perché?
Nessuno di noi vuole più sentire di essere un peso e dipendere da qualcun altro. Io a scuola non dicevo che vivevo in comunità: non volevo vedere la pietà negli occhi delle persone o che mi trattassero diversamente perché ero senza genitori. Io pensavo solo a studiare perché sapevo che così mi sarei salvata. Sono sempre stata quella ribelle che non voleva essere considerata inferiore agli altri.
Sta realizzando il suo sogno?
Da piccola volevo fare il medico: dicevo sempre alla mia nonna malata che da grande l’avrei curata. La vita, però, non va sempre come vuoi. E io nella mia testa sapevo che dovevo diventare indipendente il prima possibile perché non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe provveduto a me. Per questo ho rinunciato a medicina e mi sono iscritta a scienze cognitive. Poi me ne sono anche innamorata.
Cosa chiedete alle istituzioni?
Che siano più presenti quando i ragazzi sono dentro le comunità, con personale formato e serio. Se devono spendere soldi, li spendano nel modo migliore possibile. Poi dovrebbero ascoltarci di più. Non siamo immaturi: chi fa questi percorsi è adulto già quando è molto piccolo.
Quali sono le difficoltà per un Care Leaver che vuole proseguire gli studi?
Non sapete la fatica che ho fatto per farmi riconoscere l’ISEE e far capire che non potevano considerare quello dei miei genitori nella domanda di borsa di studio. E vale anche per le richieste di alloggio o le tasse annuali. Alla fine mi hanno indicato tra gli orfani, perché non esisteva la categoria per quelli come me. Per loro non esistiamo.
Quanto può servire una borsa di studio o la formazione professionale?
Può rendere una persona autonoma, indipendente e serena. Può aiutarla a raggiungere i suoi sogni. Può salvarle la vita, come è successo a me.
Martina Castigliani
Cinque ragazzi in uscita da percorsi di tutela extra-familiare
attendono un contributo per completare la loro formazione.
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