Arrivederci e buona vita! Storie delle partenze da Alcatraz

Una macchina carica dei bagagli di una delle famiglie ucraine in partenza da Alcatraz

Sono ormai passati poco più di due mesi da quel giorno in cui il pullman ha portato ad Alcatraz 22 persone tra donne, bambini e ragazzi scappati dalla guerra in Ucraina. Pochi giorni dopo arriva un’altra famiglia di 4 persone. Hanno trovato qui, tra le colline umbre, vestiti, pasti caldi, sorrisi, peluches per i più piccoli e biciclette per i più grandicelli. Abbiamo festeggiato insieme la nostra e la loro Pasqua. Non sono mancati gli intoppi: come le due settimane di quarantena per il Covid che, colpendo alcuni di loro, ci hanno limitato negli incontri, nelle gite in città…  Perché, non bastasse la guerra, siamo anche dentro a una pandemia.

Nel frattempo, abbiamo fatto partire la macchina burocratica presso il Comune, la Prefettura e la Questura, per riuscire ad avere in tempi se non brevi almeno ragionevoli i permessi di soggiorno. In questo maggio così caldo finalmente almeno i documenti sono in ordine e adesso la concretezza del futuro è più vicina, si può decidere se restare o andare.

Lidiia è una signora di 64 anni molto religiosa, il suo sogno era di andare a vivere in un monastero di Odessa, ma Odessa sta sotto le bombe. E allora che si fa? Lidiia ci parla di un campo profughi a Budapest che potrebbe riportarla in Ucraina. Prepariamo il viaggio, compresi tutti i biglietti che possono servirle per farsi capire, con la traduzione nelle varie lingue, la si accompagna all’autobus e la si saluta, contenta lei e contenti noi di sapere che sarà dove vorrà stare.

Alena e la sua famiglia hanno bisogno di vivere in città; Alcatraz è un posto molto bello ma Vika ha problemi di salute e la necessità, in caso di bisogno, di raggiungere al più presto un ospedale. Allora Mattea contatta gli assistenti sociali del Comune di Gubbio che la mettono in contatto con la coordinatrice dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) gestiti dalla Prefettura e trova un agriturismo che ha messo a disposizione del CAS alcuni miniappartamenti alle porte di Gubbio. La scuola dove, nel frattempo, è stata iscritta Vika è a 15 minuti a piedi, l’ospedale a 10 minuti di macchina. Il posto è bello, l’appartamento nuovo e ben tenuto, Alena, Vika e Marina ci vivranno bene e la piccola Angelina avrà spazio per giocare. Non sono sole, a seguirle le operatrici del CAS e pensa te, una di loro, Guendalina è nata qui, la conosciamo da sempre, insomma, resta tutto in famiglia. Maria e Anna, invece, scelgono di raggiungere il CAS di Assisi dove Anna potrà seguire i suoi studi.

Venerdì è partita la famiglia di Lena. Sono in sette tra nonna, figlia e nipoti. Li attendono in Toscana un altro gruppo di ucraini, lì inizia la stagione del mare, troveranno lavoro e accoglienza dalle stesse persone che li avevano portati in Italia dal confine con la Romania. Ehi! Ma con loro parte anche il piccolo Misha! Non vi nascondiamo che qualche lacrima ci è sfuggita tra mille sorrisi e tanti auguri di tutto quanto possa essere augurato di bene.

Domenica sono partite per la Toscana anche Nina e la sua famiglia. La Toscana è una regione che sta accogliendo moltissimi ucraini che la conoscono anche grazie al fatto che il presidente Zelens’kyj ha lì una sua residenza. Per chi vuole tornare al più presto a casa, andare in quei luoghi sembra quasi un avvicinamento alla patria. Inoltre, le prospettive di lavoro nella stagione balneare fanno ben sperare di poter guadagnare quel tanto che basti a creare un possibile futuro di autonomia almeno per i prossimi mesi.

Da ora a tavola saremo in pochi, ci sarà un po’ di malinconia a non vedere Sofia che corre insieme a Misha e Nastia, un po’ sì. Ma è così giusto tutto questo che non si può essere tristi a lungo, con l’aiuto imprescindibile dalla Fondazione il Fatto Quotidiano abbiamo offerto a queste persone che scappavano da una guerra feroce e ingiusta qualche settimana di pace, abbiamo permesso loro di fermarsi a pensare, aiutate dal silenzio delle colline e dal sollievo di non doversi occupare dei problemi pratici, abbiamo dato un posto dove dormire, un pasto caldo e connessione ad alta velocità per parlare con i loro cari rimasti in Ucraina.

Soprattutto abbiamo cercato di rispettare il loro dolore anche nella differenza, anche quando ci sono state incomprensioni o malintesi, perché abbiamo tentato di capire la difficoltà di chi in fuga dall’orrore si ritrova in un paese straniero che non solo usa una lingua diversa ma anche un alfabeto diverso e in mezzo alle colline quando la sua vita di poche settimane prima era in una grande città con tutti i servizi a portata di mano. E allora può accadere che il dolore si trasformi in rabbia, perché è così ingiusto quello che sta accadendo che ce la si prende con le persone più vicine, quelle che per fortuna quell’orrore non lo stanno vivendo. Abbiamo accolto anche questa rabbia.

Ognuno può scegliere se restare ancora un po’ o per sempre, o andare dove preferisce, le nostre porte sono aperte e ci piace questa sorta di “Primo Soccorso Pace” che ci siamo ritrovati a essere, una specie di oasi verde di tranquillità che permette di affrontare un altro viaggio senza l’ansia del dover fuggire. È bello pensare che Lidiia ora stia pregando nel monastero, che Misha giocherà in riva al mare con la paletta e il secchiello, che Vika non avrà paura di stare male. Noi dal canto nostro continuiamo con chi c’è e chi arriverà, ringraziando sempre per l’opportunità che ci è stata data di conoscere un altro popolo, un’altra cultura, perché fare del bene fa bene soprattutto a chi lo fa.

Liza, la piccola Zlata, la nonna Irina e il cane Stefi rimarranno qui. Non hanno intenzione di spostarsi per ora. Una coppia dei nostri volontari che vive in una grande casa in campagna ha offerto a questa famiglia un appartamento, si sono spostate domenica sera dopo la partenza della famiglia Nina, rimanendo comunque vicino ad Alcatraz con l’idea di collaborare nei progetti futuri e con la promessa che la Fondazione Fo Rame – insieme alla Fondazione Il Fatto Quotidiano – non le lascerà sole. Irina lavora a distanza, Liza sta facendo dei corsi di specializzazione per cercare di trasformare le sue passioni in una attività retribuita. Stiamo cercando di supportarla in un percorso di autonomia e inserimento. Ha la patente, quindi ci siamo già attivati per trovarle una macchina, nel frattempo facciamo lezioni di guida perché si abitui alle strade collinari (ci spiegano che in Ucraina è tutto piatto, le curve sono poche e diradate, a differenza di qua).

La piccola Zlata sta facendo l’inserimento in una scuola dell’infanzia di Gubbio, è in classe con alcuni dei figli dei nostri volontari, cosa che semplifica il tutto perché entrando in classe trova delle facce amiche. Tutte e tre stanno imparando l’Italiano, Maria Cristina (la nostra volontaria che si occupa della didattica) continua a ripeterci di parlare evitando di usare la mediazione dell’inglese, le ragazze sono in grado di sostenere una conversazione, purché si usino frasi brevi, ma lo scoglio più grande da superare è la timidezza.

Per la prima volta, da quando queste donne sono arrivate ad Alcatraz, complice anche il primo caldo di maggio, giovedì sera abbiamo cenato all’aperto sotto al nostro storico gazebo. Per la prima volta, grazie anche alla presenza di Talia – chiamarla solo mediatrice è riduttivo, è una persona sensibile, attenta, partecipe – siamo rimasti in chiacchiere fino a tarda sera. A un certo punto qualcuno ha parlato di Stefania, la canzone della Kalush Orkestra che ha vinto l’Eurovision 2022, qualcun altro ha colto l’occasione per farla ascoltare, e abbiamo iniziato a ballare e a scherzare come fossimo vecchi amici. La serata si è conclusa con Maria Cristina che diceva “E se DOMANI è la parola che fa più paura, non dimentichiamoci che intanto c’è stasera”.  E così abbiamo sentito l’utilità di questi giorni. Se le persone trovano la propria strada significa che hanno usato il tempo sospeso di Alcatraz per riposarsi e trovare la forza di pensare al domani, nonostante il dramma che stanno vivendo.

E se questo è stato possibile, dobbiamo ringraziare non solo i volontari che ogni giorno hanno investito il loro tempo e i loro sorrisi in questo progetto, ma anche tutti coloro che ci hanno aiutato con la prima sottoscrizione della Fondazione Il Fatto Quotidiano. I vostri contributi sono serviti a sostenere le spese di prima necessità, il cibo, i prodotti per l’igiene personale e per le medicine; i tablet per la didattica a distanza e lo svago, tutto il materiale didattico compresi libri e quaderni per le lezioni d’italiano; il gas, l’elettricità e un sacco di altre cose per le esigenze specifiche di ogni famiglia… Impossibile elencare tutto. E continueranno a sostenere le spese della famiglia di Liza.

Inoltre abbiamo le risorse per partire con un nuovo progetto di accoglienza, inserimento/orientamento. Restate connessi, vi racconteremo tutte le novità. L’avventura continua.

Gabriella, Stefano, Mattea, Maria Cristina e Jacopo

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